Vettore-Torrone-Sasso d'Andrè una delle più belle creste degli Appennini

...dove andare per monti significa sentirsi a casa...

Da quando il Club 2000 ha aggiunto una nuova vetta, il Sasso d’Andrè con i suoi 2100 metri, il capitolo Sibillini mi si è riaperto. Luca desiderava come l’escursione della vita la salita al Monte Vettore, Giorgio voleva anche lui finalmente chiudere il conto con questa meravigliosa catena ed io oltre che prendermi l’ultima cima mancante nella gara giocosa dei 2000 metri, desideravo finalmente vedere dove avevo messo i piedi durante quella escursione in solitaria, dominata dalla nebbia fittissima. E così saltata la due giorni sulla Majella questo progetto in attesa da tanto tempo ha preso corpo. Siamo partiti prestissimo , alle 4 di un finalmente caldo sabato, dal solito luogo di appuntamento al Torrino. Dopo poco più di due ore di viaggio alle 7 meno un quarto ci incamminiamo nel più classico sentiero di avvicinamento al Vettore, da Forca di Presta. Il cielo è sereno e tira un leggero ma fresco vento, anche se la cima del Vettore è avvolta completamente da nere nubi minacciose e foriere non tanto di pioggia quanto di visibilità praticamente nulla. E’ presto, confidiamo nella giornata crescente e nelle previsioni previste in netto miglioramento . Pochi passi e ci sentiamo subito inseriti nell’ambiente, non sentiamo più il vento e dopo pochi tornanti tagliamo il sentiero scegliendo un tracciato appena impercettibile ma interamente immerso in un manto di fiori. Siamo sul versante sud, sotto di noi serpeggia il manto stradale che sale da Pretare e lontano, tra nebbie ora più fitte ora meno dense spicca la fascia luminosa del mare. Immagini affascinanti, d’effetto che cerchiamo di catturare con le macchine fotografice. Intanto procedendo in quota ci rendiamo conto che ci stiamo infilando dentro il Vallone dei Mezzi Litri verso la fonte delle Ciaule e se non vogliamo arrampicarci in direttissima verso il rifugio Zilioli dovremmo lentamente convergere verso la mole del Vettoretto che ormai ci sovrasta alla nostra sinistra verso nord. Saliamo un versante erboso e qui facciamo l’incontro con la fauna più famosa del luogo: la vipera dell’Orsini. Probabilmente è stata sorpresa dal freddo della notte lontana dalla tana; era simil arrotolata su se stessa e talmente intorpidita dal freddo che toccata con la punta di un bastoncino non ha quasi reagito. L’abbiamo fotografata e subito lasciata in pace. In quella condizione di impossibilità sia di fuga che di difesa da parte sua ci sembrava di essere degli invasori del suo difficile momento di sopravvivenza. Riprendendo il sentiero principale quasi all’altezza della piccola croce dedicata a Tito Zilioli ci facciamo la rampetta forse più difficile della salita al Vettore ed in pochi ansimanti passi siamo sulla rotondità del Vettoretto. Senza sosta riprendiamo il traverso che sale al Vettore; invisibile è il rifugio e ancora di più la cima del monte. Viaggiamo al buio; per fortuna il sentiero lo potremmo percorrere ad occhi chiusi. Il rifugio compare all’improvviso lontano una cinquantina di metri. L’invisibilità quasi totale ed un vento fresco fastidioso ci costringe al bivacco nella parte pubblica del rifugio. Ne aprofittiamo per mangiare qualcosa. Giorgio rimane fuori a fotografare il nulla. Riprendiamo il cammino dopo una ventina di minuti seguendo da prima il sentiero e poi l’ampia cresta. Continuiamo a non vedere praticamente nulla e la croce secondaria ci compare inaspettamente davanti in un tempo brevissimo. Evidentemente abbiamo filato come treni. Luca è convinto che siamo in vetta e non comprende perché la montagna continui a salire anche se leggermente verso nord. Spiegato l’arcano sorridendo riprendiamo a salire ed in cinque minuti ci compare la vera croce di vetta. Piegata e torta su se stessa in una postura surreale a testimonianza di cosa siano capaci gli agenti atmosferici. Altarini con madonnine sono comparsi ed un muro semicircolare di pietre lungo 4 o 5 metri ed alto uno, è comparso a pochi passi dalla croce. Ci domandiamo il senso ma non c’è logica per un intervento così innaturale. Le nubi ci avvolgono ancora fitte; Luca soddisfatto di aver raggiunto la cima più alta dei Sibillini è felice a metà; sa che ci sono panorami incredibili intorno ma non riesce ad intuirne nulla. Decidiamo che non vale la pena di fermarci a lungo e riprendiamo la cresta verso nord. Sappiamo che ormai è solo una questione di cammino; non possiamo più perderci visto che rimane da percorrere solo una affilatissima cresta senza diramazioni laterali. Piuttosto sapevamo che saremmo stati in bilico su una crestina a tratti sottilissima che dominava versanti ripidisssimi. Speravamo che la nebbia ci desse tregua; c’era un vento leggero ma non riusciva a solevarla. Ora si ora no per alcuni brevi momenti squarci di cielo e di visibilità ci venivano regalati; ora verso le valle nel versante marchigiano ora lungo la cresta, ma mai tanto da capire dove fossero le vette che stavamo cercando. Ci siamo detti che sarebbe bastato avanzare, controllare l’altimetro e raschiare tutti i picchi che si elevavano dalla cresta per toccare il nostro Torrone e il Sasso d’Andre. C’è da dire evidentemente che questa cresta non mi vuole. Anche la volta precedente in invernale percorsi questo tratto di creste in completa invisibilità. Procedevamo spediti a tratti su rocce in bilico sul pendio ripidissimo. Con cautela ci siamo abbassati e poi rialzati un paio di volte fino ad una piramide più evidente. La distanza dal Vettore poteva starci e ci siamo convinti di aver raggiunto il Monte Torrone. Le solite foto di rito avvolti in un bianco filmico risulteranno poi testimonianza di una vetta ancora non raggiunta. Non che non fosse la cima più alta della cresta, ma solo a casa ci siamo poi accorti che quella era solo una quota. Il Torrone era più avanti!! Lo abbiamo raggiunto e passato in anonimato. Dalle carte risultava molto più a sud, più bassa della cima precedente che una volta oltrepassata e vista da nord assumeva ancora più importanza per il salto notevole di dislivello e per la sua lunga sottilissima cresta. Il Monte Torrone in sintesi era l’ultima cima prima che la cresta si abbassasse in una selletta e si diramasse versio est. Incomprensibile per il suo perfetto anonimato; un promontorio non marcato, quasi a livello con la cresta, senza un omino o un segnale di riconoscimento!! Intanto proprio sulla cima del Torrone le condizioni di visibilità miglioravano e ci si apriva davanti la piccola piramide del Sasso d’Andrè. Un leggero dubbio ci ha assalito; se considerare la cima raggiunta subito dopo la sella come obiettivo centrato o se ancora una volta stavamo prendendo un abbaglio. La carta parlava chiaro, eravamo in vetta al Sasso D’Andrè. E a dire il vero perlustrando tutt’intorno si è capito il motivo del toponomastico “Sasso”. Una piramide tronca era il versante est del Sasso D’Andrè. Una montagna che verso le Marche sprofondava in una verticalità assoluta. Ci siamo fatti alcune foto cercando di evidenziare l’esposizione da brivido e dopo una mezz’oretta di sosta, dopo che il sole ha preso vigore ed è riuscito a vincere la sua battaglia con la nebbia abbiamo ripreso il ritorno per la stessa via dell’andata. La lunga dorsale con l’accuminata vetta di quello che ci sembrava essere il Torrone ci aspettava e ci preoccupava non poco. Quasta volta l’andatura è stata lenta, non tanto per la difficoltà della salita quanto per lo scenario che finalmente privo di nubi ci si è mostrato tutto intorno. Ho scattato una serie interminabile di panoramiche. La valle Gardosa e il pesino di Foce da una parte con le montagne conosciute tutto intorno. Verso sud l’Argentella, il Palazzo Borghese con l’omonimo Sasso fino alla Sibilla con la sua inconfondibile ferita; verso est il lago di Gerosa, bacino di raccolta che intercetta il fiume Aso la cui sorgente è lì sotto i nostri piedi anzi ai piedi dell’immenso Scoglio del Lago che spavaldeggia davanti a noi, e le preziose colline marchigiane che accompagnano lo sguardo fino alla tenue linea azzurra del mare che si confonde con l’orizzonte. E a Nord ovest, a destra dello spigolo accuminato del “quasi Torrone” la cresta più bella di tutti i Sibillini e forse dell’intero Appennino: Cima del Redentore e lo Scoglio del Lago che si inabissa nel laghetto ancora per metà coperto dal ghiaccio. Lo spettacolo di tutti gli spettacoli che le montagne sanno offrire o che così per lo meno risulta e risalta nel mio cuore. Ero felice e a casa. Saliamo ancora fino alla cima di quello che per noi era il Torrone e nel frattempo Luca si trovava già in prossimità del Vettore. Una furia umana aggrediva il dislivello e procedeva come fosse in piano. Certo perdendo molto dei panorami che ora un sole luminoso amplificava a dismisura ma misurandosi con se stesso in una sorta di sfida personale con la montagna. Ora Luca vedeva l’obiettivo, la cima e si era galvanizzato. Poi è Giorgio a farmi capire il motivo vero del distacco accumulato da Luca. Parlando tra loro del Pizzo di Pretare, Luca aveva intuito che Giorgio non lo avrebbe raggiunto di nuovo e che anche io avendolo già toccato ci avrei rinunciato. Così, prendendo le misure, conoscendo ormai il territorio ci ha staccato pensando di andare a recuperare vetta e tempo. Ci avrebbe intercettato in discesa dal Vettore risparmiando a noi lunghe attese. Peccato che non aveva fatto i conti con la mia volontà. Pizzo di Pretare lo avevo toccato un paio di anni prima in completa copertura di nubi; ero certo di averlo raggiunto ma una vocina dentro di me esigeva una puntata veloce su questa vetta per mettere a tecere ogni picolo dubbio. Raggiungo il Vettore con Giorgio; facciamo ora qualche altra foto finalmente chiara mentre penso che era la prima volta che questa cima mi si mostrava alla luce di un sole sfavillante; poi mi separo da lui e punto veloce verso il mio ultimo obiettivo. Saluto un cordialissimo gruppo di Trevigiani accampati intorno alla croce del Vettore e filo via. Intercetto Luca a metà della dorsale già di ritorno. Prima tentenna poi si volta e mi segue. Instancabile davvero. E questa volta ha fatto bene a voltarsi e ripercorrerere la cresta già fatta. Raccogliendo un suggerimento di uno dei Trevigiani si è fermato alla terzultima cima della dorsale, quella più alta e con un’evidente ometto sopra; peccato che anche questa sulle carte non rappresenta la cima del Pizzo di Pretare. Più sotto duecento metri di percorso ed una cinquantina di altezza ci sono altre meno pronunciate sommità. La seconda è il Pizzo. Che strana la costruzione delle assegnazioni delle cime; per la seconda volta non è quella più alta della cresta ma semplicemente l’ultima. Vabbè, cose di montagna. Le solite foto e puntiamo decisamente verso il ritorno. Estenuante per l’ennesima salita, ma come sempre anche quelle più dure prima o poi hanno fine. Raggiungiamo Giorgio in una ventina di minuti, in prossimità del rifugio Zilioli. E’ li che si riposa al sole e per farsi vedere ha piantato a terra uno dei bastoncini e ci ha issato la bandiera di aria Sottile. Anche io e Luca ci sprofondiamo finalmente in un meritato riposo; mangiamo qualcosa e ci abbandoniamo ai caldi raggi del sole. Ma il ritorno ci chiama e la noiosa discesa per il solito sentiero ci attende. Pur di non farlo propongo di scendere per il Canalone dei mazzi Litri per intercettare un’evidente sentiero che passa sotto il Vettoretto. Perderemmo subito quota e soprattutto eviteremmo l’ennesima discesa per il solito sentiero ormai strabattuto da sempre. Ci inoltriamo in una sottovalutata discesa. Complicata per pendenza e per sfasciumi oltre che per la distanza e presto tagliamo il pendio per raggiungere il meno faticoso anche se monotono tradizionale sentiero. Il ritorno è veloce; interrotto solo da alcune soste per delle foto panoramiche sull’immenso e sempre affascinante Piano di Castelluccio. Le fioriture famose sono ancora indietro e nulla delle fantasmagoriche cromie è accennato. In auto ci siamo alle 15 meno 20 e considerando la partenza intorno alle 6 e 20 del mattino anche quella odierna è riusultata alla fine una infinita galoppata delle nostre. In ambianti diversi, dominati prima dalla nebbia e dal silenzio della bruna, poi dalle sfilacciate nubi di vetta che giocavano a mostrare e nascondere i tesori intorno a noi e poi dal sole sfavillante e dal cielo blu turchese che ci hanno mostrato tutto lo splendore di questo spicchio di mondo. Come dire? Non ci siamo fatti mancare nulla.